LA CAMPAGNA SOCIAL #HoSposatoUnMusulmano
contronarrazioni social su terrorismo e identità religiosa
Le stragi compiute dai terroristi islamici negli ultimi anni, soprattutto in Europa, hanno influito significativamente sulla percezione dell’(in)sicurezza da parte dei singoli individui e dei gruppi sociali, alimentando in particolare il sospetto e la paura nei confronti della comunità islamica. Su tale percezione certamente influiscono anche le rappresentazioni dei media che – ora obbedendo alle logiche del sensazionalismo, ora esprimendo un chiaro orientamento politico – facilmente cedono a semplici equazioni tra migrante e criminale, tra musulmano e terrorista o ancora tra musulmano e individuo che basa le sue relazioni sulla logica della sottomissione.
A partire da tali premesse muove la ricerca diretta dal sociologo Nicola Ferrigni e che si colloca all’interno del progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN) su “Media e terrorismi. L’impatto della comunicazione e delle reti digitali sull’insicurezza percepita”, focalizzando l’attenzione su un caso particolarmente significativo che ha recentemente coinvolto l’opinione pubblica italiana. A seguito alla pubblicazione da parte del quotidiano «Libero» di un articolo in cui si mettevano in guardia le donne europee su una possibile relazione con un musulmano definendola una “follia pericolosa”, centinaia di donne italiane, fidanzate o sposate con un musulmano hanno infatti replicato affidando agli hashtag #hosposatounmusulmano la condivisione della propria personale esperienza di vita.
Dalla ricerca emerge uno spaccato particolarmente significativo delle cosiddette “contro-narrazioni” sul terrorismo. Da una parte, la ricerca conferma infatti come i social media rappresentino oggi un terreno incredibilmente fertile per lo sviluppo di narrazioni mediali finalizzate a sconfessare l’equazione, sovente veicolata da un giornalismo tendenzialmente advocacy, tale per cui “Islam” sarebbe sinonimo di “terrorismo”. Dall’altra parte, tuttavia, non tutte le campagne social diventano necessariamente virali, e il caso in esame rappresenta un esempio in tal senso. Ciò accade sicuramente a causa della non sufficiente diffusione in Italia della condizione descritta nella campagna (ovvero una donna sposata con un uomo di fede islamica), che ha portato a una condivisione della campagna non emozionale quanto piuttosto razionale, che è venuta tuttavia meno nel momento in cui la sua notiziabilità si è fisiologicamente esaurita. A questo si aggiunge una ragione più profonda, legata alla percepita mancanza di un’opinione pubblica condivisa in merito all’equazione Islam=terrorismo: una assenza che, in Rete, finisce per diventare essa stessa un’opinione.